Concediti una pausa, con tutto l’amore che puoi
Può accadere che, senza quasi farci caso, ci affezioniamo ad un’immagine di noi che è carente, sprovvista, mancante.
Carente di tempo, di coraggio, d’aria, di potere, di successo, di pazienza, carente della stessa possibilità di essere altro da questa immagine. Carente infine di fiducia, perché in questo scenario fatto di scarsità come potrebbe esserci spazio per la fiducia?
Un esempio: essere in ritardo
A me ad esempio succede di essere spesso di corsa, col respiro corto, con un orologio interno che mi sussurra che è tardi, che mi devo sbrigare, che non ho tempo. Il bianconiglio di Alice rende l’idea.
Accade così, che questa sensazione, che questo “sbrigati” si appiccichi addosso senza che vi sia una reale necessità, un pilota automatico, una spinta interna che genera ansia.
Un tipo di ansia, che a sua volta genera e moltiplica nuova ansia. Un turbine che non ha più capo né coda.
Altrettanto spesso, capita che ci si organizzi in modo tale da essere realmente in ritardo. Paradossalmente si ha l’impressione di controllarlo il tempo,.
posso fare anche questa cosa, ci sta anche questo
Una sfida che finisce sempre all’ultimo respiro.Ci si abitua al tempo del ritardo, al tempo della fretta.
Ma cosa c’è dietro, sotto, dentro, questo tipo di ansia? Perché come diceva una mia amica ieri sera, di ansie ce ne sono tante.
Il tempo della fretta è il tempo del fare, un fare che riempie, che oltre a togliere il respiro, restituisce e offre al mondo un’idea di noi bisognosa, senza aria, mai in pace. Un’immagine che è a stretto contatto con la paura, la paura di non arrivare in tempo, di non farcela, e poi più in profondità, la paura di non poter essere così come si è.
Le relazioni ne risentono, chi ci sta vicino può entrare nel vortice ed iniziare a correre con noi, oppure sentirsi in colpa per i nostri carichi, oppure allontanarsi e prendere le distanze..
Uscire dal vortice dell’ansia
Siccome non si sta poi così bene in questa corsa permanente, come si esce dal vortice? Vortice che può essere anche ‘solo’ mentale, con il pensiero che prolifera e sembra essere inarrestabile.
Conviene allora esercitare l’arte del fermarsi, anche se sembra contro natura, anche se non è il momento. Concedersi una pausa, un sollievo, con tutto l’amore che si può sentire, quella lieve e gentile tenerezza che fa breccia quando ci arrendiamo al corpo e al respiro, quando deponiamo le armi e ci mettiamo in ascolto.
- fermarsi, concedersi una pausa
- portare delicatamente l’attenzione al respiro
- più e più volte arriveranno i pensieri, con la spinta a fare altro, a riprendere la corsa. E più e più volte torniamo al nostro respiro, alla nostra pausa
- ascoltare
- osservare
- riconoscere
- dare un nome a quanto ci sta accadendo.
- non aggiungere giudizi, né interpretazioni
- non pretendere cambiamenti.
- solo una pausa, con un po’ di tenerezza
Un fermarsi autentico, pieno di disponibilità a sentire tutto quello che c’è, tutto quello ci sta accadendo, che sta succedendo al nostro cuore, la paura, l’incertezza, la solitudine, l’unicità che abbiamo dentro, quella stessa che ci fa credere di essere sbagliati. Sentire il respiro, il nostro soffio, così com’è, corto, superficiale, affannoso oppure lungo, profondo, caldo, fresco. Sentire il corpo, i suoi confini, dalla punta dei piedi fin su alla punta dei capelli.
Con calma, col tempo della pazienza, dell’ascolto benevolo, ripetuto per le volte che occorrono, si affina così la sensibilità verso noi stessi.
Imparare, un po’ alla volta, a darsi il permesso di essere così come siamo
Noi stessi con la nostra imperfetta unicità. E nella tregua apprendere, sempre un pò alla volta, con il tempo, a fare un pò di pace con i conflitti, le imperfezioni, gli errori, con tutta la nostra umana inadeguatezza.